Via Francigena
Saint-Vincent, il suo Hospitale e la Via Francigena
Per antonomasia la Via Francigena è quel lunghissimo tratto di strada che fin dall’alto medioevo partendo da Canterbury, in Inghilterra, attraversava il Canale della Manica e tutta la Francia per poi superare le Alpi attraverso i Colli del Gran-San-Bernardo, o del Moncenisio, e da quelle località, con alcuni percorsi variabili, raggiungeva Roma: la città Eterna, la città dei Papi, la città con le tombe dei Martiri. Un ulteriore pezzo di strada era diretto a Brindisi per concludersi, via mare, alla città di Gerusalemme e al Santo Sepolcro.
Successivamente questo percorso ebbe delle importanti varianti di cui la più nota è relativa al cosiddetto Cammino di Santiago de Compostela, nella regione Galiziana della Spagna per onorare e pregare sulla tomba di San Giacomo, Apostolo di Gesù, detto il Maggiore. Credo però sia quanto mai importante chiarire subito che la denominazione Via Francigena ha questo nome fin dal XVmo secolo così come risulta da documenti dell’epoca e che l’etimologia è da rapportare al fatto che tale strada ha una sua origine in Francia o se si preferisce, nei territori dei “Franchi”.
Errore sarebbe ritenere che solo quell’itinerario fosse utilizzato dai Pellegrini per recarsi a Roma per ritrovare la perduta Patria celeste o in Terra Santa per espiare i propri peccati pregando sul Santo Sepolcro o in altri luoghi della città particolarmente importanti cari ai cristiani. Da precisare inoltre che alcuni tratti di questa strada sul territorio italiano, anche di notevole importanza, portano il nome di Via Romea, cioè strada che conduce a Roma; in questi specifici casi i pellegrini erano detti Romei. Va detto, infine, che la valle d’Aosta, pur con le sue alte montagne, ha rappresentato da sempre, e lo è tutt’ora, un importante svincolo stradale a livello europeo.
Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente la fitta rete di strade in precedenza tenute ai massimi livelli di sicurezza per coloro che vi transitavano e di manutenzioni sulle opere, andò progressivamente deteriorandosi.
La formazione di piccoli e medi feudi in mano a nobili, Chiese e Conventi determinò la frammentazione amministrativa dei territori un tempo, appunto, sottoposti alla Roma Imperiale e, giocoforza, tale situazione penalizzò la rete viaria a cui più nessuno fece manutenzioni.
Eppure su quelle difficili e non mantenute strade continuarono a passare mercanti e carovane, messaggeri, eserciti, Papi e Imperatori, ladri e cavalieri, mercenari e briganti, giovani nobili desiderosi di andare a combattere in Terra Santa per difendere sia il Santo Sepolcro che in generale gli interessi economici della Chiesa; ma quelle strade furono anche percorse da coloro che accompagnavano i resti mortali di importanti santi come Saint Germain vescovo d’Auxerre (Parigi) deceduto a Ravenna e riportato in Francia per volontà dell’Imperatore Valentino che aveva grande stima e considerazione di questo uomo di Dio. Secondo la tradizione il corteo, con il corpo imbalsamato di San Germano riccamente addobbato e accompagnato da un gran numero di alti prelati, nobili, soldati e popolani, percorse la valle del Po per dirigersi verso la nostra Diocesi e gli alti colli Alpini per giungere infine a Parigi.
La tradizione vuole che durante la notte il corpo fosse esposto nei luoghi di culto per essere onorato dai fedeli, ma tale ricordo tradizionale affermerebbe inoltre che una presunta sosta del corteo sia avvenuta proprio qui a Saint-Vincent dove sarebbe stata realizzata, forse solo per pochissimi giorni, una sepoltura di rango privilegiato nel sottosuolo della chiesa.
Naturalmente oltre alle tante figure precedentemente citate, sulla Via Francigena transitavano anche numerosi fedeli che, in processione, accompagnavano le reliquie di questo o quel santo verso chiese, basiliche e monasteri più o meno famosi. Verso la fine dell’ottavo secolo, sui colli che interessano il tratto valdostano della strada, comparvero i Saraceni, ovvero orde di pericolosi tagliagole che domandavano ai passanti un pegno per il pedaggio in cambio della sicurezza del transito e della vita; per quasi un secolo la situazione non migliorò tanto che sembrerebbe ormai accertato un drastico calo dei passaggi sia nel fondovalle che sui colli del Grande e del Piccolo San Bernardo.
Ormai alla soglia della fatidica data dell’anno mille le genti, unite, riuscirono a debellare la terribile piaga dei Saraceni assalitori e a rendere nuovamente sicure le strade di collegamento.
Nel corso del 990 un prelato sassone, tale Sigerico, partì quasi certamente a piedi da Canterbury alla volta di Roma per ricevere direttamente dalle mani del Papa il Pallio, cioè l’investitura ad arcivescovo consistente in una sorta di sciarpa di pesante lana che attestava la sacralità e il rango del personaggio che l’indossava. Più precisamente il Pallio (derivato dal latino pallium, mantello di lana) è un paramento liturgico usato nella Chiesa cattolica, costituito da una striscia di stoffa di lana bianca avvolta sulle spalle. Rappresenta la pecora che il pastore porta sulle sue spalle come il Cristo ed è pertanto simbolo del compito pastorale di chi lo indossa. A questo proposito – scrive Giosué Musca, – nell’VIII secolo i papi mutarono l’usanza del dono del pallium agli arcivescovi, da simbolo della loro autorità in obbligo, per i metropolitani, di venire a ricevere il dono a Roma; nel IX secolo la consegna del pallium diventerà condizione indispensabile per poter consacrare, il che causerà qualche risentimento proprio tra il clero inglese.
Nella città eterna Sigerico visitò le Basiliche e ben 23 chiese in soli due giorni per poi riprendere la strada del ritorno nella sua città di residenza nel mese di luglio; durante il viaggio da Roma a Canterbury, durato 79 giorni per un totale di 1.600 chilometri e con una percorrenza di circa 20 chilometri al giorno; l’itineraio è il più diretto tra l’Inghilterra e Roma e risulta essere stato anche il più trafficato malgrado le difficoltà che si sarebbero incontrate nel superamento delle Alpi.
Il vescovo Sigerico (ma molto più probabilmente uno dei suoi accompagnatori), annotò all’incirca ben settantanove località -submansiones o mansio-, precedendole da una numerazione latina in progressione per indicare i paesi dove si era fermato per il giusto riposo; dopo aver lasciato la tappa XLV Everi (Ivrea) si diresse verso la Valle d’Aosta; nella nostra regione sono annotate tre soste in altrettante località: XLVI Plubei (Plout a Montjovet), XLVII Agusta (Aosta) e XLVIII Sce Remei (Saint-Rhémy en Bosses); passato il colle del Gran San Bernardo ecco la tappa XLIX Petrecastel (Bourg-Saint-Pierre nel Vallese Svizzero).
Certamente durante il viaggio a piedi, Sigerico, non si limitò a camminare e pregare ma visitò anche le chiese che incontrava sul suo cammino ed è altresì probabile che in buona parte l’ospitalità gli sia stata garantita da quelle strutture di caritatevole accoglienza che esistevano sul percorso -pro peregrinorum susceptione-, e che in tantissimi casi ricalcavano le stazioni di posta e di cambio dei cavalli, fondate dai romani.
Va però detto che l’ospitalità era praticata anche nei castelli, abitazioni nobiliari e case forti ma in questi casi la stessa era riservata gratuitamente ai nobili e, in molti casi, a pagamento per i mercanti.
Tutti gli altri pellegrini potevano trovare un letto e alimenti di conforto negli Hospitales i cui mezzi di sostentamento provenivano da gesti caritatevoli, in particolare da lasciti testamentari e da rendite gravanti su proprietà fondiarie.
Nel tratto valdostano compreso tra l’Ospizio del Gran San Bernardo -il più famoso e il più in quota- e Pont-Saint-Martin (porta sud della Valle), si contavano nell’alto medio evo circa 18/20 strutture di accoglienza a cui si debbono sommare le 6/7 esistenti nel tratto da Aosta al Piccolo San Bernardo.
Aosta, in quanto città con importante sede vescovile, poteva contare su almeno sei Hospitales. Tali strutture erano sorte come opere di carità perché come ebbe a dire il Canonico Marguerettaz nel 1861 illustrando una sua ricerca storica relativa a quella catena di carità in Valle d’Aosta durante una seduta degli Accademici di Sant’Anselmo, …le Val d’Aoste était catholique et il l’était depuis les premiers temps de l’ère chretienne a tal punto che …la charité l’avait pénétré de ses feux divins…
Nel tratto di strada compreso tra Aosta e Pont-Saint-Martin, una certa importanza l’ha rivestita, per almeno 350 anni, l’Hospitale di Saint-Vincent; per quanto ci è dato sapere dalle carte questa struttura era posizionata vicino alla chiesa del borgo e in aderenza alle mura che per secoli avevano cinto e protetto il nostro paese.
Questo immobile, di cui si ignora l’epoca di fondazione, aveva una superficie abbastanza modesta con pochi letti per gli ospiti e come per altre simili strutture, viveva di gesti carità ma anche di rendite, legati, donazioni o intenzioni testamentarie. La struttura era intitolata ai Cavalieri di San Giovanni in Gerusalemme ed era controllata e amministrata dal Convento di Saint-Gilles di Verrès che nominava un suo Rettore/Amministratore.
Le prime notizie dell’Hospitale di Saint-Vincent ci giungono giocoforza da carte conservate presso la citata Collegiata di Saint-Gilles (e a cui attingeremo le informazioni successive); questa Istituzione ecclesiastica, un tempo monastica, ha infatti “gestito” per lunghissimo tempo questo ospizio/ricovero. Forse però, la sola informazione sulle dimensioni della struttura ci viene dalla lettura del Verbale della Visita Pastorale risalente al 1413; lo scritto ci descrive un immobile di piccole dimensioni, fornito di un ben modesto arredamento composto da 10 letti e cinque gardes pailles (primitivi materassi contenenti fogliame), ma anche di un materasso di piume (!!!).
Dalle numerose carte apprendiamo che il 30 novembre 1323, con proprio testamento tale Perret Comin, definito bourgeois de Saint-Vincent, lega …à l’hôpital de Saint-Vincent trois sestiers de seigle et son lit. Guidon, prévôt de Saint-Gilles, est nommé exécuteur testamentaire, avec faculté d’adjoindre d’autres personnes, notamment l’évêque Arducius. Da questa prima informazione abbiamo certezza che in quella data l’Hospitale era in attività -forse già da tantissimo tempo- e, ripetiamo, già inserito nei possedimenti di Saint-Gilles.
Naturalmente per sopravvivere economicamente e fornire al pellegrino una decorosa accoglienza, l’Ospizio doveva obbligatoriamente possedere dei beni fondiari -che garantivano rendite monetarie e prodotti della terra- poi infeudati a terzi; la conferma ci giunge da una pergamena risalente al 13 gennaio 1354 all’interno della quale è detto che …Antoine, prévôt du monastère de Saint-Gilles de Verrès, donne en fief à Jacquemin, fils de feu Perronet Hospitalis, habitant à Saint-Vincent, les biens de l’hôpital de Saint-Vincent pour 4 sols et un chapon.
L’anno successivo, nell’ultimo giorno di febbraio …Amédée Buenerii, chanoine de Saint-Gilles de Verrès, recteur de l’hôpital de Saint-Vincent amodie à Jean Mauteller pour 6 ans les biens dudit hôpital, pour la somme annuelle de 4 livres et 6 setiers de vin. Nel 1463, evidentemente dopo alcuni problemi circa il non rispetto dei contratti, si assiste a degli …Actes de procédure entre rév. Pierre de Chissé, prévôt du monastère de Saint-Gilles, demandeur, et Nicolas dit Nicoz de Luttin, bourgeois de Saint-Vincent, défendeur, et en cas de mort, contre les héritiers, aux fins de les contraindre à la restitution des biens de Saint-Vincent.
Nei primi decenni del Cinquecento (19 febbraio 1537) Pierre-Bertrand Mistralis de Saint-Vincent, (importante esponente dell’omonima nobile famiglia del borgo) …ajoute une clause à son testament: il institue un legs en faveur de l’hôpital de Saint-Vincent d’un lit avec ses linges, sa paillasse, son coussin et ordonne à ses hoirs de restituer audit hôpital une couverture de peu de valeur qu’il a reçue de Christophe Sostegnii (costui era un importante notaio di origine canavesana).
Pochi mesi dopo, il locale parroco …Noble Jean Mistral(is) (figlio di Pierre-Bertrand), curé et recteur de l’église paroissiale de Saint-Vincent, chanoine de l’église cathédrale de Notre-Dame d’Aoste, fait son testament et entre autres legs donne et laisse pour réparer les maisons (dunque sono diventate più di una?) de l’hôpital de Saint-Vincent vingt livres et autres 24 livres bonae monetae cursalis pour améliorer l’état de la maison. Par autre testament, en date du 19 février 1537, noble Pierre Bertrand Mistral, père du précédent, avait légué audit hôpital un lit, deux linceuls neufs, unam folliferam <paillasse>, une couverte et un coussin. Il 22 agosto 1543 …à la requête de Boniface Mistralis, commissaire aux recettes pour le duc de Savoie, Pierre de Cresta, chanoine de Saint-Gilles et recteur de l’hôpital de Saint-Vincent, confesse tenir en fief du duc une pièce de vigne et inculte située à Saint-Vincent au lieu-dit Torrent-Sec pour laquelle il doit un setier de seigle de rente annuelle à payer à la Saint-Michel, deux chapons de servis annuel à payer à la Saint-Étienne et le plaît habituel, et une maison située à Saint-Vincent dans la charrière d’en bas, pour 4 setiers de seigle d’aumône que payait jadis un tel Boninus Carnyan de Lenty (collinare villaggio di Saint-Vincent).
Passano solo sei anni e ricompaiono nuovamente carte che ci illustrano diatribe tra il Prevosto di Saint-Gilles di Verrès e il Rettore del nostro Hospitale nei copnfronti di coloro che gestivano di fatto i beni dell’Ente. E’ del 17 maggio 1548, durante il 14mo anno di Pontificato di Papa Paolo III, la Bolla con cui il pontefice scomunica i …détenteurs des biens de l’hôpital de Saint-Vincent.
Il primo rettore di cui si è a conoscenza sembra essere il canonico regolare Jacques nel corso del 1368, naturalmente nominato dal Priore di Verrès mentre nel 1555 a gestire l’ospizio sarà il canonico Pantaléon de Bruna. Nel 1570, una lettera di Papa Pio V, afferma che la citata Prevostura ha diritto alle rendite e ai benefici che derivano dalle parrocchie di Antey e Arnad oltre a quelle dell’Hopital de Saint-Vincent.
Presso l’Archivio della Prevostura è anche conservato un registro dei conti dell’Ospizio che copre il periodo 1609-1615 e in questo …Antoine Bonin, religieux de Saint-Gilles de Verrès et hospitalier de Saint-Vincent, atteste avoir reçu de Jean de Pierre de Voult (Vout ?) des quantités différentes de seigle. In un fondo privato ho ritrovato una carta danneggiata e incompleta risalente i primi anni del XVII secolo all’interno della quale si parla, forse per la prima volta, di un preciso terreno appartenente al nostro Ospizio; purtroppo l’incompletezza della carta vergata dal notaio César Mistralis conferma solo la generica esistenza di un …pré dit de Saint-Gilles à Moron.
Decisamente più precisa una seconda carta, sempre conservata da una famiglia di Saint-Vincent, che risale al 31 gennaio 1659 e rogata in quella data …à Saint-Vincent dans l’étable des nobles frères Mistralis. Nel documento si legge che …à’ la requête de César, Auguste et Georges, frères Mistralis, nobles et coseigneurs de Brissogne et bourgeois de Saint-Vincent, Vincent fils de Jean de Pierre Gorris, et prud’homme Pierre Damay, dit Du Gay, agissant à son nom et à celui de Maurix Damay, son cousin et de Gabriel de Thobias Gallerna, reconnaissent avoir en fief des dits Mistralis un pré avec des arbres situé à Moron au lieu dit Champ Saint Egide, soit Pré de Saint Gilles, pour lequel ils doivent trois quarterons de sigle de cens annuel, et un pain de servis annuel à payer à la fête de Saint Etienne et le plait quand il adviendra.
Dunque, sembra ormai confermato, che nella seconda metà del XVII secolo, una parte dei beni appartenuti all’Hospitale di Saint-Vincent, erano ormai saldamente detenuti dalla famiglia dei nobili Mistralis e ad alcuni rappresentanti delle famiglie del territorio montano di Saint-Vincent.
Il Canonico Marguerettaz ci parla anche di un fatto insolito e per certi versi terribile, successo nell’Hospitale di Saint-Vincent: Dans cet hospice logea en 1502 le chanoine de la Cathédrale Nicolas du Bois, en route vers Rome. Le révérend voyageur reçut dans cet établissement des insultes de la part des bourgeois Thua et Astesan. La Cour romaine, informée de ce fait, ne laissa pas maltraiter ce qu’un esprit de foi portait à visiter les tombeaux des Saint Apôtres et bientôt un rescrit pontifical déclara les dits Thua et Astesan frappés d’excommuniation.
Questo scritto conferma che tale struttura ospitava anche persone di rango e non solo pellegrini senza possibilità economiche. L’ultimo rettore di cui si è a conoscenza sembrerebbe essere stato Pierre Obert un canonico di Verrès, in precedenza già parroco d’Ayas. Correva l’anno 1649 e forse possiamo ipotizzare in quella data la definitiva chiusura dell’Hospitale di Saint-Vincent.
Pier Giorgio Cretier
(Nota: salvo diversa segnalazione, i documenti citati sono conservati presso l’Archivio storico della Prevostura di Saint-Gilles di Verrès. Contributi letterari sono ricavati da A. Marguerettaz, Mémoire sur les anciens hôpitaux du Val d’Aoste, Duc, 1879 e da J. Stévenin, Hospitia, Musumeci, 1999).